Toradol

Della sera del quarto giovedì di ottobre di quest’anno ricordo ogni istante, ogni suono, ogni rumore, ogni movimento. Verso il tardo pomeriggio mentre me ne stavo disteso nel letto della mia camera a riposare, più spossato del solito, mi accadde un fatto strano anticipato da un evento ancora più inspiegabile, che inizialmente osservai con indifferenza: una zanzara, una delle ultime ancora in circolazione, nonostante l’autunno inoltrato, stava volando per la stanza. Un particolare catturò la mia attenzione: l’insetto era sospeso al centro della stanza, sembrava non riuscisse più a muoversi, non andava né avanti né indietro.

Mi venne un pensiero fantastico: il tempo si è arrestato.

E mentre sgranavo gli occhi, consapevole che qualcosa di anomalo era in corso, cercando di alzarmi per osservare meglio quanto avveniva, venni percorso da dei dolori lancinanti, che iniziarono dalla testa e si diffusero lungo la schiena, il torace, le articolazioni, l’addome … ovunque. Qualcosa dentro il mio organismo doveva essersi spezzato o forse mi aveva scatenato una guerra: voleva dominarmi o annientarmi completamente.

Dalla radice dei capelli alla punta dei piedi sentivo un dolore insopportabile e uniforme, come se fossi diventato un’unica cellula: un organismo inerte e incapace di reagire, dentro cui era esplosa tutta la debolezza umana. Pulsavo come un cuore sul punto di esplodere, avevo le mani e i piedi ghiacciati eppure ero percorso, lungo tutto il corpo, da rivoli di sudore roventi come lingue di fuoco.

Ero solo in casa, e anche se avessi urlato nessuno mi avrebbe udito. Avevo provato a chiamare la mia gatta per avere un po’ di conforto, ma non riuscivo più ad articolare alcun suono.

Se volevo un aiuto dovevo raggiungere il piano terra.

Mi lasciai cadere dal letto stramazzando sul pavimento perché non riuscivo quasi a muovermi, e faticosamente strisciai fino alla scala. Scendendo e scivolando lungo i gradini mi graffiai le braccia e il busto sbattendo ripetutamente la testa, ma i numerosi colpi e le ecchimosi che mi procurai furono niente rispetto il male che avevo dentro. Osservai la scia sanguinolenta lungo i gradini, come la bava di una lumaca: mi usciva sangue dalla fronte e dal naso, ma non me ne curai. Avevo un unico obiettivo: raggiungere l’armadietto dei medicinali che si trovava al piano terra e iniettarmi del toradol, l’unico antidolorifico che avrebbe potuto lenire queste fitte insopportabili. Se per caso non l’avessi trovato, piuttosto che continuare con questa tortura, avrei preferito suicidarmi. E allora mi sarei diretto verso la mia scrivania dove, per gli eventi irrisolvibili e insostenibili, conservavo in un cassetto una rivoltella con il colpo in canna. In quel giorno bastardo e incomprensibile avrei anche potuto risolvere tutto in questo modo.

Raggiunsi l’armadietto, ed ero ormai molto oltre qualsiasi livello di sopportazione: non riuscivo più a modulare la forza e levai tutti i cassetti dal mobile rovesciandone il contenuto sul pavimento: aspirine, oki, maalox, antibiotici, garze, cerotti e, finalmente, dalla montagnola di scatolette emerse il toradol.

Non riuscivo più a controllare le dita, baciai la confezione, strappai la carta con i denti, mi tirai giù i jeans con violenza, e afferrando la siringa me la conficcai nella coscia. Rimasi disteso per alcuni minuti assaporando il piacere che mi dava sentir fluire il liquido dentro di me: finalmente una barriera contro la guerra che mi era stata dichiarata.

I pantaloni scivolarono via come delle serpi, o forse me li tolsi … poi scivolarono via la maglietta e i boxer, o forse li lanciai nell’aria … non so, i miei indumenti parvero dispiegarsi come ali.

Ogni millimetro del mio corpo adesso respirava: disteso sul pavimento mi addormentai.

Quando mi risvegliai, non so dopo quanto, ero disteso su un letto, accanto a me avevo mia moglie, udivo i gemiti di sofferenza di numerose persone di fianco e di fronte a me. Non ero all'inferno ma nel limbo che a volte lo precede: l'ospedale.