Salve, le va
di raccontarsi un po’ ai nostri lettori?
Con piacere.
Per introdurmi prendo in prestito un po’ di righe dal mio sito
WEB www.franco-alesci.it dove prima di presentare i miei libri mi
racconto:
sono vissuto fino quasi ai trent'anni nell'isola del Lido di Venezia, un’isola
dove regna un incantesimo che, nonostante il grande impegno degli uomini per romperlo, ancora oggi resiste. Un’isola di cui amo le fitte nebbie di novembre che la trasformano nel regno di King Kong.
Di questo lembo di terra, prima del mare, amo tutto, anche le trombe d’aria di agosto e settembre, che si abbattono incontrastabili più che mai: dilavando, strappando, ghermendo e assassinando a
volte. Ma, niente riesce a darmi i brividi come il mare di inverno, specialmente durante le burrasche. La burrasca mi piace guardarla come un toreador guarda il toro negli occhi durante la corrida,
ne osservo le evoluzioni, ne ascolto il suono, indescrivibile e potente come quello di mille organi, ne valuto ogni minima mossa o variazione.
Ancora oggi, ogni volta che c’è una tempesta, mi piacerebbe essere in riva al
mare…
Per quanto riguarda la mia formazione:
sono sempre stato un lettore d’assalto, fin dalla più tenera età. In
particolare di testi narrativi, che hanno costituito per me del nutrimento indispensabile.
Ho viaggiato ogni volta che ho potuto visitando Stati Uniti, Asia , Nord
Africa, Medio Oriente, Europa.
Ho una laurea in ingegneria elettronica, a cui sono arrivato studiando e
lavorando, essendo rimasto orfano di padre in giovane età. “In una vita precedente” ho progettato circuiti elettronici per aziende di Milano, Monza, Pavia. L’ambiente industriale italiano l’ho
conosciuto abbastanza a fondo e vissuto abbastanza male (e non è la cosa peggiore che abbiamo in Italia). Non faceva per me, ed ero consapevole che al mondo c’erano già Steve Jobs e Bill Gates, e la
Lombardia, senza nulla toglierle, non era la California. Fra l’altro per conto di una ditta milanese passai un breve periodo in una base elicotteristica americana, in Alabama, a Fort Rucker, dove
seguii i test di un sistema elettronico che avevo progettato io e che doveva essere utilizzato a bordo dell’elicottero Chinook CH47D. Non mi fece bene quell’esperienza: scoprii un altro mondo e un
altro modo di lavorare, più organizzato, più libero e più entusiasmante. Risultato: quando rientrai in Italia mi sentii fuori posto, non c’erano idee ardite, non c’era fermento, e si guardava
passivamente oltreoceano. Non mi bastava! Così nell’ Italietta di allora (oggi ulteriormente peggiorata), ero proprio a disagio e dopo un po’ di anni lasciai l’ambiente industriale. D’altro canto
stabilirmi in USA in quegli anni non lo potevo fare: c’erano troppi motivi privati che non me lo consentivano…
Ma questa è un’altra storia.
Contemporaneamente, stava lievitando dentro di me un’esigenza sempre più
forte: avevo uno smisurato bisogno di esprimermi, di creare e di raccontare cose. Di narrare!
Per scrivere avevo bisogno di avere più tempo libero, e sulle base di questa
riflessione lasciai l’industria. Mettendo insieme le competenze informatiche e la voglia di autonomia, insieme all’illusione di poter guadagnare utilizzando qualche software, mi avvicinai alla
speculazione finanziaria, iniziando a lavorare come trader indipendente, e poco dopo contemporaneamente, iniziai a insegnare elettronica.
Adesso potevo gestire il “dio tempo” come volevo io e finalmente soddisfare la
mia necessità di scrivere.
Il lavoro del trader, fin dall’inizio, si manifestò essere molto difficile e
stressante. Nel girone dantesco della speculazione finanziaria - perché comunque vada è sempre un piccolo inferno - riuscii a cavarmela abbastanza bene fino all’attentato delle torri gemelle dell’11
settembre del 2001. Dopo l’attentato di New York, nel mondo si alterarono tutti gli equilibri e le regole che erano valse fino ad allora: sociali, militari e finanziarie. Era nato un nuovo mondo: più
difficile, più instabile e molto più triste e preoccupante.
“Da quel momento il trading online mi dichiarò guerra”, imparai sulla mia
pelle, che nessuno, individualmente, poteva fronteggiare i signori della finanza e le loro incursioni speculative. A forti guadagni mi corrispondevano perdite equivalenti o maggiori cosicché più che
un lavoro divenne una lenta rovina online. Capitava frequentemente che le quotazioni azionarie, o delle materie prime, salissero repentinamente per poi, improvvisamente, crollare, senza nessuna
spiegazione sensata. Ero una sardina in un mare infestato dagli squali. Dopo qualche anno lasciai, definitivamente, questa attività, non c’erano più regole, era come giocare in una roulette truccata
da chi tiene il banco.
Pubblicai nel 1992, per L’Autore Libri Firenze, una raccolta di racconti:
“l’Oasi delle Ambiguità” premio Carrara - Halstahhamer 1993. Poi, l’anno successivo, dovevo pubblicare il romanzo: “Floating” per una nota casa editrice torinese che, dopo avermi conosciuto, si
dimostrò molto interessata a lanciarmi nel panorama letterario italiano. In quel breve periodo ero raggiante! Ma non se ne fece niente: degli improvvisi cambiamenti redazionali e direttivi fecero
saltare tutto.
Allora avevo già scritto diverse cose. L’avvilimento si impossessò di me.
Ricordo che buttai tutto quello che avevo fatto dentro un cassetto e non ci pensai più.
Entrai in una lunga pausa narrativa che si protrasse fino a qualche anno fa,
quando ripresi a scrivere cose nuove, e a riscrivere i testi di molti anni prima. Da allora scrivo giorno e notte. Recentemente ho pubblicato per Sacco Editore i romanzi: “Floating”-2011 e "Il
Vento in testa" - 2012, e per AbelBook la raccolta di storie:"Akua"- inizio 2013, in e-book. Sono a buon punto nella stesura di altri due romanzi, che conto di ultimare nel corso
dell’anno.
Il vento in
testa è una storia d’amore, e non solo, travolgente. Quanto c’è di autobiografico e quanto crede possa rispecchiare la realtà.
In questo romanzo non c’è nulla di autobiografico. La storia scaturì, da un
incontro casuale, che ebbi un giorno mentre mi trovavo con l’auto a bordo del ferry-boat che dall’isola del Tronchetto porta al Lido di Venezia. Mi ero appena imbarcato con l’auto quando salì
rombando una coppia di motociclisti. Catturarono la mia attenzione. Erano bardati dentro due complicate tute di pelle nera, e prima ancora che si togliessero il casco mi parvero avere qualcosa di
anomalo. Poi quando si scoprirono i volti si liberò una specie di magia, c’era qualcosa di molto affascinante in loro, insieme ad una evidente grande differenza di età: lui molto vistoso, orecchini,
lunghi capelli bianchi e un volto distrutto dal tempo, lei molto giovane, nel fiore degli anni, e straordinariamente attraente.
Mentre lui sembrava un bandito lei, viceversa, appariva un angelo. Li osservai
ipnotizzato, venivano dalla Danimarca, come si poteva capire osservando la targa di quella moto a cavallo della quale avevano solcato mezza Europa. Lei aveva movenze flessibili, mi ricordò un giovane
bambù, in contrapposizione lui, seppur asciutto, camminava come se fosse stato tutto ingessato. Riusciva a salire a malapena i gradini del ferryboat per recarsi al piano di sopra, ad ogni passo si
afferrava con le braccia al corrimano e si tirava su. Eppure, insieme, facevano scaturire un incantesimo intorno. Li osservavo incuriosito mentre gesticolavano tra loro. Sembrava amassero comunicare
soprattutto col linguaggio del corpo e delle mani. Lei, mentre camminavano, alzava l’indice, apriva il palmo, piegava le dita in uno strano modo e lui, seppure fosse un po’ più avanti, come se
percepisse i gesti di lei, anche senza vederli, faceva delle smorfie silenziose con la bocca e rispondeva alzando o abbassando il pollice chiudendo o aprendo la mano.
Quel giorno mi balenarono tante idee e tante immagini, come se la mia mente
venisse percorsa da uno stormo di uccelli. Pensai che avrei scritto il romanzo della loro storia, di una loro possibile storia. Dunque, io direi che, il mio romanzo può rispecchiare certe realtà
possibili, inconsuete, che più facilmente di altre possono degenerare e diventare oggetto della cronaca nera.
Come uomo e
come autore crede o spera possa esistere quella libertà tanto ricercata, con affanno, dai protagonisti?
Io credo che la libertà sia qualcosa di soggettivo nel senso che un essere
umano è libero se si sente tale. Faccio un esempio per semplificare: c’è chi sta bene se non ha legami e chi, viceversa, si sente perduto se non ne ha.
Poi quasi sempre la libertà (o la sensazione di libertà) determina la felicità
e viceversa. Mi piace ricordare a questo proposito che Thomas Jefferson, nella sua dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti
elenca come diritti inalienabili dell'uomo: la tutela della vita, della libertà e la ricerca della felicità.
La ricerca della felicità!
Non sarebbe tutto diverso nel nostro paese se l’articolo 1 della nostra
costituzione anziché: “l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro” recitasse: “tutti gli esseri umani hanno il diritto di ricercare la felicità”? Ci sarebbe un altro spirito e un altro scopo nella
vita, addirittura sancito dalla costituzione!
Pensare di trovare la felicità o la libertà, che sono due facce della stessa
medaglia, scappando, credo sia una piccola follia, ma a volte le piccole follie bisogna farle. Personalmente ho un debole per i cercatori di sogni che hanno molto in comune con i cercatori di tesori,
a cui li preferisco.
Dunque la libertà, a mio avviso, è uno stato e una
sensazione.
Per quanto riguarda i protagonisti del romanzo, sono stati segnati troppo
duramente dalle loro vicende personali, hanno ferite profonde non rimarginabili, perciò non possono raggiungere lo stato di beatitudine che la libertà può dare.
A chi si
sentirebbe di consigliare il Suo libro?
A tutti. Ci sono diversi elementi in questo testo e altrettante chiavi di
lettura. Ritengo che questo lavoro abbia diverse valenze. Si possono trovare: il coraggio di vivere una storia d’amore anticonvenzionale, le illusioni, la spregiudicatezza, la fantasia, e i limiti
che nella vita non dovrebbero mai essere superati.
Quali libri
nello scatolone in cantina e quali oggi sul suo comodino. Il passato e il presente letterario di Franco Alesci. Quali sono stati e quali sono i suoi autori di riferimento.
Per quanto riguarda il passato ci fu un periodo della mia vita, poco dopo la
laurea, in cui amai molto Henry Miller: lo lessi tutto, e passioni così potenti le ebbi anche per E. Hemingway, J. Fante, C. Bukowski, F. Dostoevskii, N. Gogol, L. Tolstoj, F. Kafka, G.G. Marquez, I.
Calvino, A. Moravia per elencare i principali… l’elenco completo sarebbe veramente molto lungo.
I miei autori di riferimento d’oggi sono Haruki Murakami, di cui non perdo
niente, e Antonio Moresco (difficile, poco commerciale e, a mio avviso, geniale). In particolare, sul mio comodino, e ogni sera prima di addormentarmi mi fanno compagnia: “Tutti i romanzi –
Meridiani” di Piero Chiara e i “Fiori del Male” di Charles Baudelaire. Più in generale, oggi, come ieri, cerco le buone letture, anche di autori sconosciuti, e se dei libri mi incuriosiscono e mi
convincono, già leggendo la quarta di copertina, li voglio a tutti i costi. ;-) (intervista
2)
03 marzo 2013