BREVE ESTRATTO DAL CAPITOLO 15

La luce del tramonto filtrava attraverso le grandi vetrate del mio studio veneziano, tingendo di rosso e arancione le pareti bianche. Chiusi gli occhi per un attimo, lasciando che il calore del sole mi accarezzasse il volto. Era stato un giorno lungo, passato a rivedere gli scatti per la nuova mostra. Le immagini, catturate durante i miei viaggi, sembravano quasi vivere di vita propria, sussurrando storie di mondi lontani e volti dimenticati. Ma ora, finalmente, potevo concedermi un momento di quiete.

Mi tolsi la giacca di tweed, appoggiandola con noncuranza sulla poltrona di pelle. Un gesto abituale, quasi meccanico. Fu allora che sentii un leggero scricchiolio di carta proveniente dalla tasca interna. Strano. Non ricordavo di aver messo nulla lì. Con un movimento rapido estrassi un foglietto piegato in quattro, fatto di carta grezza al tatto, quasi ruvida.

Il cuore mi batté più forte, senza motivo apparente. Forse era la stanchezza, o forse quel silenzio improvviso che sembrava aver inghiottito la stanza. Aprii il foglietto con gesto lento, quasi esitante. Le parole, scritte a mano in maniera regolare, con un inchiostro nero e un tratto spesso, sembrarono saltarmi addosso:

 

LA TUA ARTE È UNA MENZOGNA. LA TUA VITA È UN ERRORE. PRESTO PAGHERAI PER TUTTO.

 

Gli occhi corsero più volte sulle righe, a cercare una spiegazione, una firma, un indizio. Ma non c'era nulla. Solo quelle parole, fredde e precise, che sembravano graffiare la carta.

Chi poteva avermelo messo in tasca, e quando? La giacca era sempre stata appesa alla mia sedia nello studio, forse era successo questa mattina quando ero sceso al bar per fare colazione, magari mentre camminavo.

Mi guardai intorno, le ombre sembravano allungarsi, minacciose, e il rosso del tramonto ora mi ricordava qualcosa di diverso, qualcosa di più oscuro. Sangue. Fuoco. Pericolo.

Mi avvicinai alla finestra, con il foglietto ancora stretto tra le dita, e scrutai la calle sottostante. Qualche pedone passava distratto mentre la vita scorreva ignara. Eppure, sembrava che da qualche parte, ci fosse qualcuno che mi osservava. Qualcuno che mi conosceva. Qualcuno che mi odiava.

"Chi sei?" mormorai, senza aspettarmi una risposta.

Il vento, entrando da una fessura, fece vibrare il foglietto tra le mie dita, come se volesse portarselo via. Ma lo strinsi più forte, sentendo il peso di quelle parole gravarmi addosso. Era solo uno scherzo? Una burla di cattivo gusto? O era l'inizio di qualcosa di molto peggio?

La macchia scura della mia vita che ritornava a galla? Era forse la mia vittima di vent’anni fa che adesso era tornata per saldare il conto? Simone era un invalido, riusciva a rimanere in piedi per pochi passi aiutandosi con il bastone. Questo era quello che sapevo di lui. Non poteva certo averlo scritto lui questo biglietto. No, le lettere sarebbero state irregolari e tremolanti, e se si fosse avvicinato a me l’avrei individuato subito. Non l’avevo più visto da allora.

Forse un mitomane invidioso del mio successo? In giro è pieno di squilibrati.

Aveva senso denunciare la minaccia alla polizia? Non avevo nessuna voglia di ritornare in quegli uffici, il solo pensiero mi riempiva di angoscia. Probabilmente era soltanto un cretino che preparava decine di biglietti tutti uguali e poi si divertiva a infilarli nelle tasche dei passanti o nelle giacche appese al bar, dal dentista, dal barbiere... in ogni circostanza in cui potesse farlo, divertendosi a immaginare la reazione di tutti quei perfetti sconosciuti.

Però diceva: “La tua arte è una menzogna...”, si riferiva a un artista. Difficilmente l’avevo ricevuto per caso.

Infine, presi il biglietto e lo gettai nel fondo di un cassetto, deciso a non pensarci più.

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